CRISTINA BALMA-TIVOLA

KRI "muovere [k] liberamente [ri]" | STI "stare [s] in moto [ti]" | NA "effetto [ā] del soffio vitale delle acque [n]"

Staged Authenticity

Ricerca etnofotografica sull’identità culturale.
Fotografia, audio, scrittura. In progress.

Nella seconda metà dell’‘800 fondazioni e musei finanziavano la realizzazione di raccolte fotografiche di quelle che erano considerate culture ‘in via di estinzione’. La fotografia era documentazione della realtà e come tale veniva sempre percepita. I fotografi che si recavano in Africa, Asia, Oceania avevano come scopo quello di realizzare un campionario di tipi e culture umane.
In verità tali immagini vennero spesso realizzate in studio, con evidente disinteresse per il contesto di vita reale dei soggetti ripresi che spesso indossavano vestiti e ornamenti non della loro cultura e ritratti su uno sfondo dipinto che poco o nulla c’entrava con il luogo in cui vivevano.

Più tardi si fece però largo una nozione positiva del concetto di ‘staged authenticity’: con questa espressione, infatti, dagli anni ‘20 si cominciò a intendere la recitazione di sé da parte del soggetto del film documentario, e ciò grazie al regista Robert J. Flaherty, la cui volontà era costruire una rappresentazione che restituisse contemporaneamente il proprio sguardo sull’identità dell’altro, lo sguardo altrui su di sé e infine la collaborazione tra i due per restituire la documentazione di eventi reali, ancorché recitati.
In Nanook (1922), quindi, l’identità culturale degli eschimesi venne messa in scena con i protagonisti che si muovevano sulla base delle indicazioni dell’operatore, ma discutendo con lui il lavoro, i temi e talvolta anche le modalità delle riprese.

Il progetto ‘Staged authenticity’ è animato da un intento analogo a quest’ultimo: il lavoro vuole restituire, in forma di immagini fotografiche, l’identità culturale di diversi individui in un certo periodo della loro esistenza – l’identità culturale che sappiamo essere fluida, dinamica, in costante trasformazione – attraverso la ‘messa in scena’ di sé all’interno di un contesto costruito in collaborazione con la fotografa-curatrice del lavoro.
Le persone vengono fotografate in un contesto sì inventato (in studio), ma che esse stesse hanno realizzato come concretizzazione della propria identità, con elementi sonori, visivi e oggetti per loro simbolici.