CRISTINA BALMA-TIVOLA

KRI "muovere [k] liberamente [ri]" | STI "stare [s] in moto [ti]" | NA "effetto [ā] del soffio vitale delle acque [n]"

L’albero e la sopravvivenza nel riscaldamento globale

Vedi, non è una questione di egotismo, di presunzione, di arroganza – io farei volentieri a meno di tutto questo. E’ che così sono sono cresciuta e diventata – perché avevo sfiga, sì, ma non volevo arrendermi e rinunciare ai miei sogni così grandi, felici e luminosi. Sogni che, nella mia mente, se li avessi realizzati m’avrebbero semplicemente salvato la vita – nulla di più.

Non era egotismo, presunzione, arroganza, smania di potere. Era solo la mia ricetta per sopravvivere, e non avrebbe fatto male a nessuno.

Pensa a una pianta che viene alla luce in un terreno non coltivato, anzi, magari pure un po’ desertico: a volte secco e povero, altre volte pieno di sali minerali, a volte è circondata da altre piantine che creano la giusta umidità, altre volte resiste pur disidratandosi e bruciandosi sotto un sole torrido.

Eppure la piantina ce la mette tutta – vuole vivere – e così ogni volta che dal terreno prende qualcosa impegna tutte le energie per crescere e contemporaneamente restituirgli – moltiplicato cinque, dieci volte – ciò che ha avuto, ché lei sa quanto sia difficile sopravvivere in quelle condizioni.

Sente che deve essere grata quando riceve una gentilezza perché non è scontato che ciò accada.

Così la piantina cresce e pensa che, se diventerà un bell’albero grande, con un grosso tronco e una chioma rigogliosa, otterrà due risultati al tempo stesso, il primo dei quali sarà quello di chiacchierare col sole, con la terra e con l’acqua in pace ed equilibrio – ponendosi, insieme a tanti altri alberi che fanno la stessa cosa, come intermediaria nella fotosintesi e quindi alimentando la vita di altri esseri viventi – e il secondo sarà quello d’offrire le proprie fronde come riparo agli animaletti che vi verranno a giocare, agli innamorati che scolpiranno cuori nel suo tronco, ai vecchi che cercheranno ristoro così come offrirsi per tante talee dalle sue radici, o per incroci con altri semi o piantine che di lì cresceranno e con l’albero scambieranno sali, conversazioni, umidità e vita per rendersi reciprocamente più vivi e rigogliosi.

M’impegnavo e provavo a fare questo, e a livello di radici ho trovato tantissimi semi, piante, e sali minerali che m’hanno puntellato e fatto crescere, rendendomi sembre più salda: condividevano entrambe le mie speranze, e volevano in particolare – “egoisticamente”, mi si disse una volta – godere della seconda. Non potevo biasimarli, anzi, ero comunque loro grata.

Altre piante a fianco, invece, che erano
rimaste ferme a un certo grado di crescita e s’erano bloccate lì perché,
più furbe, avevano visto quanto il sole bruciava se si fossero
sviluppate verso l’alto, mi cominciarono a succhiare sali ed energie che
fluivano nel tronco, nei rami, nelle foglie verdi brillanti.

Anche loro volevano
sopravvivere, e lo facevano con le loro strategie – non potevo in alcun
modo biasimarle, anzi, mi stava bene comunque così. “Che prendano” – mi dicevo – “anche se perderò molto che pur mi sarebbe essenziale per sopravvivere, alla fine tutti ci guadagneremo, anche coloro dei quali non condivido le strategie”.

Ma ciò che capitò fu che man mano che crescevo le nuvole non mi diedero mai ombra, e presi tutto il sole torrido senza via di scampo.

Mi bruciò – bruciò le fronde, i rami, le radici che affioravano dal suolo.

Bruciò il tronco, dove gli amanti avevano scolpito le loro promesse.

Asciugò l’acqua nel terreno e seccò le mie radici.

L’ambiente esterno mi portò a una lenta atrofia.

Ora sono sempre più fragile e disidratata, e piante e germogli mi puntellano sempre più debolmente e sempre più debolmente – pur desiderandolo – mi offrono acqua e sali pur non avendone più neanchen loro: pure loro sono sempre più deboli.

Le piante che sono cresciute con intelligenza fino a un certo punto e lì si sono arrestate stanno ora – ahimè tardivamente – distanti.

E io, da quello che era un albero in mezzo al deserto, sto spegnendomi lentamente dando ombra a tre vecchi sdentati, che su reti metalliche di letti d’ospedale godono ancora di quel minimo di refrigerio che posso loro offrire prima della morte.

No, non sono contenta – non vorrei essere quell’albero.

Vorrei non aver avuto quei sogni e quelle speranze.

E vorrei non aver avuto quel sostegno, così da non crederci tanto come invece ho fatto.

Maledetto sia il riscaldamento globale.