Bruce Chatwin, la camera delle meraviglie e un gioco col quale siamo tutti artisti
9 Luglio 2011
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Bruce Chatwin 20enne al lavoro. |
Sono persuasa che ogni persona sia potenzialmente un artista, e abbia assoluto diritto alla libera espressione di sé. Ci sono momenti in cui ciò che sta dentro di noi chiede urgentemente d’essere tirato fuori e rielaborato, quindi ‘risolto’, nella condivisione con gli altri.
La parola poetica o narrativa, la pittura, la fotografia, la scultura, e via dicendo possono esprimere le sensazioni che proviamo e ‘mediare’ nella relazione tra noi e gli altri rendendo visibile – comunicabile – il nostro pensiero e le nostre emozioni e i nostri sentimenti.
Così come la pratica continuativa dell’espressione di noi stessi e del confronto con altri – ovviamente con soggetti attenti, riflessivi e disponibili* e in un contesto non offensivo, mortificante, violento – ci permette di imparare tecniche e acquisire competenze per rendere le nostre produzioni espressive sempre più efficaci in relazione a ciò che vogliamo comunicare.
Così come la pratica continuativa dell’espressione di noi stessi e del confronto con altri – ovviamente con soggetti attenti, riflessivi e disponibili* e in un contesto non offensivo, mortificante, violento – ci permette di imparare tecniche e acquisire competenze per rendere le nostre produzioni espressive sempre più efficaci in relazione a ciò che vogliamo comunicare.
Bruce Chatwin è senza dubbio uno dei miei scrittori preferiti – sia a livello di modalità narrativa, sia in termini di sensibilità e irrequietezza – che nasce come mercante e collezionista d’arte per diventare casualmente viaggiatore, narratore e fotografo. Un suo libro di scatti, dal titolo L’occhio assoluto, si apre con l’immagine di una God Box – termine usato per designare una teca che raccoglie l’assemblaggio di un timpano di leone, un geco essiccato, una piuma, un organo interno non identificato e due zampe d’uccello avvolte in un tessuto. Chatwin ne produsse invero molte altre, ma progressivamente le distrusse anche, nel corso della propria vita.
![](http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/7/7e/Wunderkammern.jpg)
Come fare? Provate così…
D’estate si sta molto più all’aperto, si va in giro, si cammina in ambienti naturali montani o marini. Oppure si fanno passeggiate per città d’arte e mercatini dell’usato. Si scattano fotografie, si leggono di più i quotidiani, si usano piccoli oggetti anche in modo differente dalla loro funzione abituale (pensate a chi disegna schizzi sui tovagliolini mentre prende un caffè).
Raccogliete tutto ciò in cui vedete qualcosa di bello, o qualcosa che vi smuove l’anima in quell’istante o ancora che potrebbe diventare essenza concreta di un pensiero fugace. Pensate ovviamente alla sua possibilità di conservazione, e leggete in rete come fare nel caso di fibre atamente deperibili (come nel caso di foglie ecc.).
Disponete quindi su un banco da lavoro tutti questi oggetti e cominciate a pensare a collegarli come in una storia, o una poesia: cercate un pensiero comune, una sintesi, o una traiettoria emotiva che sentite dentro di voi e volete esternare oppure un’emozione che vorreste provocare in chi vedrà il vostro lavoro.
Procuratevi ora un vecchio cassetto – qualcosa che ne abbia resistenza e dimensioni atte allo scopo. Chiudete la teca con una lastra di vetro (o meglio plexiglas) tagliata su misura e agganciata al cassetto con piccole cerniere su quello che rimarrà il lato orizzontale superiore della stessa una volta appesa, e dotatela altresì di gancio idoneo allo scopo. E’ più complesso provare a spiegarvelo che farlo, vi assicuro!
Sempre per vostra comodità, un micropomello alla base del vetro fissato con una goccia di colla a forte tenuta vi permetterà di aprire e chiudere la teca quando necessario.
Foderate ora l’interno della teca con il materiale a voi più congeniale (tessuto, carta da regalo ecc.) e nel colore e nella fantasia più adeguati per far risaltare (o addirittura dare un senso, una possibile modalità di lettura a) gli oggetti che vi ospiterete.
Quindi cominciate a disporli, avendo cura di bloccarli sul fondo con colla dalla tenuta appropriata e ricordando che poi la vostra teca verrà appesa in verticale.
La microteca delle meraviglie potrà ospitare oggetti, ma anche immagini e parole – tutti questi anche eventualmente preventivamente elaborati uno a uno (per esempio strappando una pagina di un block-notes in cui avete scritto un appunto, o accartocciando una pubblicità da un giornale ecc.).
Potrete costruire teche nel tempo, sentirvi collezionisti, inscatolare ricordi e muovere all’emozione (qualsiasi emozione) chi vedrà i vostri lavori.
Ma soprattutto, avrete messo in scena uno spaccato della vostra identità in un determinato momento della vostra vita attraverso ciò che stava intorno a voi, e l’avete reso comunicabile al mondo esterno. Sarete stati artisti – veri e propri – perché quello alla fine è il compito dell’artista: interpretare il clima di un determinato periodo storico, rielaborarlo internamente dentro di sé, e quindi renderlo visibile condividendolo con gli altri.
*Ho ben poca stima per coloro che – sedicenti ‘artisti’ per la possibilità d’aver studiato nei mondi delle accademie dell’arte o per il riconoscimento loro tributato dal mercato (perché oggigiorno ‘arte’ sembra essere ciò che che i commercianti d’arte definiscono tale) – snobbano, umiliano, deprezzano le produzioni degli amatori, ovvero dei non-professionisti. E’ ovvio che la competenza tecnica sia legata alla pratica e quindi che più si pratica, sperimenta, lavora concretamente, qualitativamente migliore la produzione sarà, ma – detto questo – lo snobismo intellettuale dei primi 1) non solo a mio avviso è politicamente/umanamente profondamente fascista e antidemocratico, 2) ma alla fine mi fa perdere anche interesse/considerazione/rispetto verso tali artisti in sé perché questi, in assenza di stimoli e dialogo con l’esterno, e concentrati piuttosto nel perdersi onanisticamente nella contemplazione della propria arroganza, ho ormai esperienza pluridecennale che tenderanno a produrre opere sempre più sterili, anaffettive e ripetitive…