Vite da criceti…
28 Settembre 2012
mi spiegate la differenza tra l’una e l’altra condizione (ok, fingiamo che sia
una questione di gradi: la prima, potenzialmente strutturale, viene
prima della seconda, percepita per lo più come estemporanea) e
soprattutto la ragione per cui molti prediligono
la prima?
fondo nell’impostazione del discorso, ovvero la premessa che la
felicità proprio non esista – o esista come condizione
estemporanea, fortuita e tutto sommato infantile – e che quindi, al
limite, possiamo giusto sperare di stare vagamente bene, come esseri
umani, senza nulla chiedere di più della salute e della
sopravvivenza in vite che sembrano quelle di criceti sulla ruota.
sono tanti: già solo nella mia cerchia di amici, invero non proprio
coattoni dal QI inferiore alla frequenza minima d’una radio privata,
se ne riscontrano un tot) – quando interrogati sulle loro esistenze
in cui diverse variabili ivi presenti sembrano apportare
contemporaneamente elementi positivi così come elementi negativi per
il loro benessere – rispondono che preferiscono “stare bene”
piuttosto che “cercare d’essere felici”.
perenne insoddisfazione è quello che chiamate lo “stare bene”?
Cielo, aiuto!
di insoddisfazione, ambiguità, confusione, impotenza, lagna,
pasticcio, vengono magari introdotti altri elementi ancora a tentare
di spostare l’asticella verso un po’ di felicità, onde almeno
trovare di tanto in tanto una qualche ragione per tirare avanti senza
spararsi – e di qui cellulari che fan pure la pastasciutta, amanti
estemporanee per qualche corteggiamento extra-coniugale,
interessi/lotte/rivendicazioni da ggggiovani (poi mi spiegate che
senso ha cantare concetti quali “live fast, die young”
schitarrando come grattuge a 50 anni, eh?).
po’ più ayurvedici, ovvero prima fare pulizia delle cose non
completamente soddisfacenti arrivando a un grado zero, e poi di lì –
piano piano, passo dopo passo – ‘ricostruirsi’ introducendo nelle
proprie esistenze il positivo?
primis una condizione in cui si sta bene (cosa che magari
si può fare autonomamente, con tanta riflessività in merito a ciò
che realmente ci fa stare bene e con un po’ di determinazione) e poi
– se possibile (ché questa è invece spesso data da quel quid
in più non sempre dovuto interamente a noi) – un’ulteriore
condizione in cui si è pure un po’ felici.
sano, ma impegnativo, atto di riflessione e di coraggio si preferisca
continuare a girare la ruota e inseguire – frustrati – ambizioni
di rara tristezza rendendo le cose sempre più complicate e di
difficile soluzione?
Che state/stiamo (ché a volte ci casco anch’io!)
aspettando? 😉