CRISTINA BALMA-TIVOLA

KRI "muovere [k] liberamente [ri]" | STI "stare [s] in moto [ti]" | NA "effetto [ā] del soffio vitale delle acque [n]"

Vite da criceti…

 

Premesso che al momento sia lo “stare bene” che “l’essere felici” sembrano darsi come più mai irraggiungibili chimere,
mi spiegate la differenza tra l’una e l’altra condizione (ok, fingiamo che sia
una questione di gradi: la prima, potenzialmente strutturale, viene
prima della seconda, percepita per lo più come estemporanea) e
soprattutto la ragione per cui molti prediligono
la prima?

 

Ché secondo me c’è un errore di
fondo nell’impostazione del discorso, ovvero la premessa che la
felicità proprio non esista – o esista come condizione
estemporanea, fortuita e tutto sommato infantile – e che quindi, al
limite, possiamo giusto sperare di stare vagamente bene, come esseri
umani, senza nulla chiedere di più della salute e della
sopravvivenza in vite che sembrano quelle di criceti sulla ruota.

 

Ovvero, quelli che la vedono così (e
sono tanti: già solo nella mia cerchia di amici, invero non proprio
coattoni dal QI inferiore alla frequenza minima d’una radio privata,
se ne riscontrano un tot) – quando interrogati sulle loro esistenze
in cui diverse variabili ivi presenti sembrano apportare
contemporaneamente elementi positivi così come elementi negativi per
il loro benessere – rispondono che preferiscono “stare bene”
piuttosto che “cercare d’essere felici”.

 

Cioè, barcamenarsi nella lagna della
perenne insoddisfazione è quello che chiamate lo “stare bene”?
Cielo, aiuto!
Senza contare che poi, a tal groviglio
di insoddisfazione, ambiguità, confusione, impotenza, lagna,
pasticcio, vengono magari introdotti altri elementi ancora a tentare
di spostare l’asticella verso un po’ di felicità, onde almeno
trovare di tanto in tanto una qualche ragione per tirare avanti senza
spararsi – e di qui cellulari che fan pure la pastasciutta, amanti
estemporanee per qualche corteggiamento extra-coniugale,
interessi/lotte/rivendicazioni da ggggiovani (poi mi spiegate che
senso ha cantare concetti quali “live fast, die young”
schitarrando come grattuge a 50 anni, eh?).
Ma dico: e affrontarla in termini un
po’ più ayurvedici, ovvero prima fare pulizia delle cose non
completamente soddisfacenti arrivando a un grado zero, e poi di lì –
piano piano, passo dopo passo – ‘ricostruirsi’ introducendo nelle
proprie esistenze il positivo?
Magari così si potrebbe raggiungere in
primis
una condizione in cui si sta bene (cosa che magari
si può fare autonomamente, con tanta riflessività in merito a ciò
che realmente ci fa stare bene e con un po’ di determinazione) e poi
– se possibile (ché questa è invece spesso data da quel quid
in più non sempre dovuto interamente a noi) – un’ulteriore
condizione in cui si è pure un po’ felici.
Possibile che piuttosto che fare un
sano, ma impegnativo, atto di riflessione e di coraggio si preferisca
continuare a girare la ruota e inseguire – frustrati – ambizioni
di rara tristezza rendendo le cose sempre più complicate e di
difficile soluzione?

 

Che state/stiamo (ché a volte ci casco anch’io!)
aspettando? 😉