CRISTINA BALMA-TIVOLA

KRI "muovere [k] liberamente [ri]" | STI "stare [s] in moto [ti]" | NA "effetto [ā] del soffio vitale delle acque [n]"

Free article: “Museums of the People for the People” (di Cristina Balma-Tivola e Gianluigi Mangiapane)

Premessa: perché questo articolo non è stato pubblicato in una rivista accademica (e del perché vada anche bene così).

Per chi lavora nell’ambito delle scienze sociali, la pandemia che stiamo vivendo e il conseguente faticoso lockdown sono stimoli importanti per riflettere sul proprio lavoro di ricerca (visto che questa, in diversi modi, ha a che fare con gli esseri umani, rivelatisi in questo periodo in tutta la loro fragilità). Di qui, diventa quanto mai urgente, delicato e importante provare a re-immaginarne e rielaborarne le pratiche, così da promuovere realmente situazioni più accoglienti e conversazioni più utili e felici per tutti gli interlocutori. Quando quindi una seria e prestigiosa rivista di ambiente anglosassone nel settore emana una call per un articolo breve proprio su questo argomento, non si può non rispondere! La procedura segue sempre il medesimo iter: si scrive un pezzo, lo si invia, si accettano le critiche dei revisori, si modifica il testo (di volta in volta orientando come da richiesta le pregresse riflessioni, portanto ulteriori esempi, magari rivedendone la forma) e via in stampa!

Eppure questa volta il giro è stato più tortuoso. Inviato il testo scritto a quattro mani, sono arrivati i commenti dei referee, entrambi positivi (dove uno dei quali porgeva addirittura i propri complimenti definendolo “uno dei contribuiti migliori” sul tema che avesse letto). Accanto a tali apprezzamenti, indicazioni e suggerimenti per migliorare il testo, tra i quali quello di approfondire oltre alcuni degli esempi che gli autori si erano limitati ad accennare per ragioni di spazio, dato che l’articolo, che doveva essere decisamente breve e concreto, prevedeva un numero assolumentamente vincolante di battute.

Di qui, allora, gli autori chiedevano all’editore di poter effettuare tale (brevissimo) approfondimento, pur se ciò avrebbe fatto sforare il testo oltre le battute inizialmente consentite, e l’editore concedeva con entusiasmo tale autorizzazione, mettendosi inoltre a disposizione personalmente in caso di ulteriori necessità. Felici di tal concessione, gli autori apportavano le poche modifiche e i pochi approfondimenti richiesti dai revisori, chiedendo altresì – per migliorare quanto più possibile la leggibilità del testo – a una docente madrelingua d’inglese di rivedere la forma del testo, così da renderlo quanto migliore possibile per l’impegno che ci eravamo ripromessi (visto che quanto avevamo scritto era in un’ottica ‘di servizio’, come molti dei lavori e delle riflessioni che sono state prodotte quest’anno negli ambiti più disparati della produzione intellettuale). Poi, ad ancora un mese dalla scadenza della consegna dei testi, gli autori inviavano all’editore il proprio articolo, appunto riveduto e corretto.

Qui la storia si fa interessante (e sconcertante). A un paio di giorni di distanza, l’editore risponde con una mail lapidaria che non pubblicheranno l’articolo, senza produrre alcuna spiegazione per tale scelta, e chiosando con i propri saluti! Alla nostra sorpresa e alla nostra conseguente richiesta di spiegazioni in merito, ci viene comunicato che sono state sforate le battute previste per il testo (il che è assurdo, visto che avevamo chiesto e ottenuto autorizzazione a farlo proprio dallo stesso editore che ora ci sta rispondendo) e che non ci sarebbe tempo per provvedere a fare ulteriori modifiche (rimaneva, lo ripetiamo, un mese alla data di scadenza della consegna…). Inoltre – scrivono ancora – il loro giudizio è insindacabile, e succede spesso che un lavoro venga rifiutato! La cosa che più ci lascia basiti è che si chiedano il perché del nostro stupore, visto che per loro è normale che un testo venga anche rifiutato nella fase finale, pur se ha ottenuto giudizi molto positivi dai revisori e se gli autori hanno apportato le modifiche richieste. Forse che non siamo abituati a lavorare con riviste importanti?, chiosano sarcasticamente (con quel sottile disprezzo perfettamente percepibile talvolta sullo sfondo di tali comunicazioni).

Veniamo allora al dunque. Ci è sembrato utile riportare questa situazione – a premessa della pubblicazione online dell’articolo in questione che qui rendiamo disponibile (con licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale) – proprio perché, per assurdo, tale processo è testimonianza di quel tipo di relazioni di sapore ‘coloniale’ e ‘patriarcale’ che ancora accadono in quelle realtà che (almeno nelle intenzioni e sulla carta) promuoverebbero autoriflessività, dialogicità, inclusione e via dicendo.  Ma, pur se la cosa non ci è piaciuta, amando quanto facciamo e facendolo perché ci crediamo, abbiamo deciso che non valesse la pena controbattere ulteriormente a tali interlocutori, bensì che fosse più importante pubblicare online il nostro testo.

Non aspettatevi nulla di sconvolgente, ça va sans dire, ma questo breve pezzo è comunque una riflessione su come i musei potrebbero imparare qualcosa dal lockdown, e su come potrebbero fornire un percorso più pensato per la gente e con la gente. A rileggerlo dopo solo pochi mesi da quando è stato scritto, è anche già ‘datato’ ai nostri stessi occhi, e oggi, nel renderlo disponibile, il nostro auspicio è che chiunque lo legga possa trovarne qualche considerazione, suggerimento, ispirazione magari utile per il proprio lavoro. Null’altro. Nel frattempo, come sappiamo, è purtroppo successo di tutto in questa estate e in questo autunno 2020. Ma questa riflessione elaborata la scorso primavera è una voce che proviene dalla solitudine e dal silenzio (fra l’altro di nuovo presente) di quella prima ondata di pandemia e del conseguente lockdown: una voce che contiene il desiderio e la speranza per un vero cambiamento dei musei, e – al di là di questi – più in generale degli incontri e delle conversazioni tra diversi interlocutori, i quali potenzialmente coincidono con l’intera umanità.

Buona lettura!

MuseumOf:ForThePeople